IL SETTEMBRE DELL'ACCADEMIA. Il concerto dell'Orchestra di Santa Cecilia. Grande interpretazione del quarto Concerto per pianoforte con la direzione di Orozco-Estrada e con solista la giovane Vacatello.
Nell'anno che il Settembre dell'Accademia dedica a Brahms (con l'integrale delle Sinfonie e dei Concerti per pianoforte), Beethoven è «ospite d'onore» di una sola serata, ma lascia il segno. È avvenuto giovedì, quando l'orchestra dell'Accademia nazionale di Santa Cecilia (da tempo, giustamente, una colonna del festival sinfonico al Filarmonico) ha proposto il quarto Concerto per pianoforte in un'interpretazione di alto livello, alla quale è mancato forse solo il segno del carisma che deriva dall'esperienza per diventare eccezionale. Del resto, se alla tastiera siede una trentenne - Mariangela Vacatello - e sul podio sale un direttore che ha solo cinque anni di più - Andrés Orozco-Estrada - si entra in un mondo musicale nel quale la routine non ha diritto di cittadinanza, il confronto con la partitura genera energica comunicazione, una benefica onda che avvolge il pubblico e lo lascia con il fiato sospeso; la tecnica e il pensiero musicale, infine, sono tutt'uno e l'immediatezza dell'intenzione è commisurata solo alla nitidezza della sua resa.
Il Concerto n. 4 è un capolavoro astratto e allo stesso tempo «materico», nella forza del suono e nella stringente dialettica della forma portata ad ardua sintesi. Il suo centro di gravità sta nel movimento di mezzo, Andante con moto, che letteralmente mette in scena un doloroso dialogo fra lo strumento solista e l'orchestra, un «botta e risposta» che porta su un piano completamente nuovo la forma classica del primo movimento e prepara per il Rondò conclusivo uno scioglimento di arcana eleganza e incisività, nel quale il virtuosismo e la poesia sono necessari uno all'altra. Ne è lucidamente consapevole Mariangela Vacatello, che ad onta della sua giovane età ha alle spalle una carriera almeno decennale, sempre illuminata dalla ricerca intorno al suono.
Quello cesellato per questo Beethoven «trascendentale» non prescinde dalla forza delle perorazioni drammatiche, che anzi vengono delineate con energica determinazione, ma comunque ne esplora la dimensione intima, ora sofferta ora estatica, a volte con romantiche sfumature di perla, a volte con essenzialità quasi pre-classica. La nitidezza del tocco e la sorvegliata efficacia del fraseggio, con le dinamiche che guizzano dentro e fuori dai nodi «ornamentali» (trilli, scale, arpeggi che diventano così sostanza e non decorazione fine a se stessa) disegnano un'interpretazione di pura trama beethoveniana. È la terra musicale esplorata solo dal «titano», quella che sta al confine tra le certezze del Classicismo e le inquietudini del Romanticismo.
Sulla stessa linea si colloca Andrés Orozco-Estrada, che guida l'orchestra di Santa Cecilia a una resa nella quale lo spirito sinfonico e l'efficacia concertante hanno risalto vividamente sbalzato. Creando con lo strumento solista una dialettica piena e allo stesso tempo sfumata e cangiante, ma sempre paritetica, corposa, equilibrata.
Introdotta dall'Ouverture spumeggiante e ieratica dal Flauto magico mozartiano, la serata si è conclusa nel segno di Brahms e della sua Prima Sinfonia. Orozco-Estrada legge il monumentale capolavoro secondo una linea che ha le sue radici nella tradizione interpretativa romantica, esaltandone la retorica alta e tornita senza mai cadere nella maniera banale ed esteriore. Così, le linee interne della fitta trama strumentale emergono corpose e accattivanti, mentre gli scultorei sviluppi formali vedono esaltata l'invenzione tematica brahmsiana, in un gioco molto articolato di sfumature dinamiche. Da parte loro, i «ceciliani» hanno confermato di essere oggi la migliore orchestra sinfonica italiana sfoderando un suono di sontuosa limpidezza e forza negli archi, forse a tratti un po' timido negli ottoni (specie i corni, pur rinforzati a cinque), sempre equilibrato ed elegante nei legni.
Teatro al gran completo, pubblico entusiasta, bis in serie. Mariangela Vacatello ha regalato due pagine debussiane (compresa la celebre Clair de lune) con cartesiana eleganza; Orozco e l'orchestra hanno proposto la seducente (e rara nelle sale) Amorosa dalle Diez Melodías vascas (1941) del basco Jesús Guridi Bidaola.